Dai campi da calcio allo studio di design
Il percorso di avvicinamento al vasto mondo del design per Alessandro Corina è partito dalla sua attrazione, fin da piccolo, per i trulli salentini e ha attraversato, con passione e tenacia, diversi campi da calcio italiani. Una storia da scoprire
Passione e tenacia sono le prime caratteristiche che colpiscono incontrando Alessandro Corina, classe 1988, interior e product designer di base a Grosseto. Ci siamo scritti su Instagram un paio di anni fa: Alessandro ha visto che ero in vacanza in Maremma e mi ha proposto di andare a visitare il suo studio, poi ci siamo incontrati quest’anno, un po’ di corsa, durante la Design Week di settembre e finalmente abbiamo organizzato due chiacchiere con calma. Mi ha incuriosito la sua storia così unica, anche se ogni storia è unica, diciamo poco canonica per il terreno del design e dei designer che ho frequentato in tutti questi anni. Il terreno professionale di Alessandro, infatti, non comincia sui libri, con matita, carta e computer, ma rincorrendo un pallone da calcio.
“Ricordo mio padre che guidava di notte per portarci in vacanza dai nonni, a Lecce, e io che, cominciando ad aprire gli occhi alle prime luci dell’alba, intravedevo i trulli e cercavo di immaginare gli interni di quelle strane abitazioni col cappello.”
fantasia, colore, coraggio, voglia di stupire sono parole che emergono dal tuo racconto e dai tuoi lavori, c’è una connessione con la tua passione giovanile, il calcio? Mi racconti il tuo percorso dai campi da calcio allo studio di design?
Comincio a raccontarti quello che il calcio mi ha dato e mi ha lasciato, insomma ciò che ho deciso di portarmi dietro nella professione di designer. Io non ho un fisico possente, per riuscire a farmi apprezzare sul campo da calcio, perciò, ho dovuto imparare fin da subito a conoscermi bene, in modo da sfruttare le doti che avevo: fantasia, scatto fisico, rapidità di pensiero. Nei miei progetti, da sempre, puoi ritrovare queste caratteristiche. La mia storia come calciatore è stata breve, ma intensa. Ho cominciato a giocare da ragazzino perché mio fratello maggiore già giocava, ci ho creduto, sono arrivato fino alla Serie B, poi la rottura di un crociato, ma soprattutto, pochi mesi dopo, un brutto incidente d’auto che mi ha immobilizzato per oltre un mese, mi hanno fatto decidere di cambiare strada.
Sono ripartito da quella visione infantile, i misteriosi interni dei trulli mai svelati, per decidere di avventurarmi nella strada dell’interior design. Ho frequentato, grazie al supporto della mia famiglia, la Libera Accademia di Belle Arti di Firenze (LABA), e nel frattempo ho cominciato a lavorare in un negozio/General Contractor di Grosseto. Dopo la laurea ho trascorso un periodo a Londra durante il quale mi sono definitivamente chiarito le idee: se volevo lavorare come designer dovevo mettermi in gioco fino in fondo, così sono tornato e ho aperto il mio studio.
Essere interior e product design a Grosseto immagino sia una realtà dagli aspetti molteplici: non è una città conosciuta per il settore design, ma forse ti offre la possibilità di esprimerti con più libertà e leggerezza? Com’è il tuo rapporto con il territorio?
È molto stimolante fare questo lavoro nella mia città, ho avuto fin da subito, infatti, la libertà di esprimermi creativamente e di condividere con i miei concittadini nuovi modi di concepire gli interni. Il rovescio della medaglia, certamente, sono le grandi distanze, fisiche e geografiche, con i luoghi dove il design vive e condivide la sua anima più attiva.
In questi anni, tra studio, lavoro e la tua nuova famiglia, hai anche varcato la soglia dell’interior design per avvicinarti al prodotto, tanto da essere stato selezionato con il tuo progetto Motus per partecipare al Salone Satellite 2021: di cosa si tratta? Secondo te quale aspetto della tua collezione ha incuriosito la Giuria?
Visto che hai nominato la famiglia, ecco che entra in gioco, proprio a proposito del progetto Motus, mia moglie Ilaria Magi. È stata lei, infatti, che mi ha convinto a partecipare alla selezione del Salone Satellite 2020, poi slittato al 2021. “Progettare per i nostri domani” era il tema della selezione, una proposta davvero interessante. In breve, perché tutto verrà svelato durante il Salone del Mobile di aprile 2022, sono partito da una mappa concettuale dove per arrivare al domani ho rivolto lo sguardo indietro. Il termine Motus, quindi, racchiude e tiene insieme tre valori fondamentali del fare: artigianalità, industria e design. Ciò che ho immaginato sono dei gesti, l’impronta dell’uomo sulla natura, e i materiali utilizzati, argilla e legno, sono quelli che, credo, sappiano esprimere al meglio i concetti di manualità e umanità.
Creativamente come ti muovi nei mondi dell’interior design e del disegno di prodotto? Hai un approccio simile o sono strade progettuali completamente diverse? E, secondo te, cosa ti distingue nel rapporto con il cliente?
Sia che mi occupi di interni che di progetto di prodotto, il mio obiettivo è di creare un’esperienza. Di rispondere a esigenze di comfort e funzionalità, ovviamente, ma contemporaneamente di stimolare tutti i nostri cinque sensi. Parto sempre, comunque, dall’ascolto dell’interlocutore, anzi forse è proprio l’ascolto consapevole che accende la mia creatività. Nei miei progetti, poi, che siano decori di spazi oppure oggetti, un ingrediente che non manca mai è il colore. Qualsiasi colore, sempre in relazione con le esigenze del cliente.
Il tappeto Memphis per Sitap e Cuborto (il contenitore di design per realizzare un orto domestico), sono due tuoi progetti realizzati: puoi anticiparci altre collaborazioni?
Certo, oltre alla mia presenza al Salone Satellite 2022 con Motus (del quale ancora non posso svelare immagini) ho un progetto in cantiere con My Home Collection e con Momenti Home. Tra i primi prodotti realizzati, invece, il divano Evergreen per Gobbo Salotti e le carte da parati per Creative Space. Mi occupo, inoltre, della direzione artistica dell’azienda di imbottiti Cava Divani.
So che hai, inoltre, diverse collaborazioni per quanto riguarda gli eventi con enti culturali di Grosseto e della Maremma, ma penso sia giusto approfondire in un’altra occasione. Grazie del tuo tempo Alessandro e salutami la Maremma!